COMPLIANCE ANTITRUST
ABBREVIAZIONI
AGCM: L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è una Autorità amministrativa indipendente che svolge
la sua attività e prende decisioni in piena autonomia rispetto al potere esecutivo. È stata istituita con la legge
n. 287 del 10 ottobre 1990, recante "Norme per la tutela della concorrenza e del mercato”.
ATI: Associazione Temporanea di Imprese, o Raggruppamento Temporaneo di Imprese, spesso indicate con gli
acronimi ATI o RTI , nel diritto societario italiano, si intende una forma giuridica nella quale più imprese si
uniscono per partecipare insieme alla realizzazione di un progetto specifico. Lo specifico scopo può essere la
partecipazione a gare d'appalto per le quali le singole imprese non possiedono, individualmente, tutte
le competenze operative, caratteristiche, categorie o classifiche richieste nel bando.
LDCO: Linee direttrici sull’applicabilità dell’articolo 101 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli
accordi di cooperazione orizzontale, delineano i principi da applicare per la valutazione ai sensi dell’articolo
101 del TUFE agli accordi di imprese, alle decisioni di associazioni di imprese e alle pratiche concordate
(collettivamente denominati “accordi”) per quanto riguarda le cooperazioni orizzontali.
TFUE: Il trattato sul funzionamento dell'Unione europea (in acronimo TFUE), da ultimo modificato dall'articolo 2
del trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dall'Italia con legge 2 agosto 2008, n. 130, su G.U. n.
185 dell'8-8-2008 - Suppl. ordinario n. 188, è, accanto al trattato sull'Unione europea (TUE), uno dei trattati
fondamentali dell'Unione europea (UE). Assieme costituiscono le basi fondamentali del diritto primario
nel sistema politico dell'UE; secondo l'articolo 1 del TFUE, i due trattati hanno pari valore giuridico e
vengono definiti nel loro insieme come "i trattati ".
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GLOSSARIO
Antitrust: norma, provvedimento (o anche istituzione) diretti a tutelare la libera concorrenza e ad impedire pratiche
monopolistiche.
Compliance: L'espressione inglese to comply with vuol dire “attenersi a certe regole ben definite, attenersi a certi
principi”. Il sostantivo compliance significa semplicemente “conformità”.
Direttiva: Atto normativo della Comunità europea che vincola gli stati membri solo quanto al risultato da
raggiungere, lasciandoli liberi sui mezzi.
Linee Guida: Una linea guida è un insieme di informazioni sviluppate sistematicamente, sulla base
di conoscenze continuamente aggiornate e valide, redatto allo scopo di rendere appropriato, e con un
elevato standard di qualità, un comportamento desiderato. Prevalentemente non si tratta di procedure obbligatorie
(in questo caso si parla di protocollo, di codice o procedura). Tali norme sono contenute in documenti portati a
conoscenza di una platea di interessati (ad esempio con una circolare) e costituiscono una base di partenza per
l'impostazione di comportamenti e modus operandi condivisi in organizzazioni di ogni genere (sia private, sia
pubbliche) nel campo sociale, politico, economico, aziendale, medico e così via.
Mock case: ipotetico caso processuale.
Policy: con policy si indica un insieme di azioni (ma anche di non azioni) poste in essere da soggetti di carattere
pubblico e privato, in qualche modo correlate ad un problema collettivo. In particolare, il termine viene in
riferimento a Policy aziendale (che costituiscono il cosiddetto "Regolamento aziendale").
Regolamento: è un atto di diritto dell'Unione europea di portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi
e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.
Risk mitigation: Mitigazione del rischio.
Whistleblowing: Whistleblower in inglese significa “soffiatore di fischietto”: il termine è una metafora del ruolo di
arbitro o di poliziotto assunto da chi richiama e richiede l'attenzione su attività non consentite, ovvero illegali,
affinché vengano fermate.
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INTRODUZIONE
Il presente documento è stato approvato da parte del Consiglio di Amministrazione in data 31 marzo 2022, costituisce il Programma di Compliance Antitrust (di seguito il “Programma”) di Air Corporate S.R.L. unipersonale
(di seguito “AC” o l’“Azienda”).
AC svolge quale core business servizi aerei passeggeri continuativi e di tipo spot a favore di clienti privati tipo
corporate in osservanza delle norme del Codice della Navigazione (articoli 776 e 789), del relativo Regolamento di
attuazione del Capo II (D.M. 18 Giugno 1981, articoli 2 e 3) e delle proprie licenze tra cui quelle di operatore aereo.
Il Programma è stato redatto sulla base delle indicazioni contenute nelle Linee Guida sulla Compliance Antitrust
adottate con Provvedimento n. 27356 il 25 settembre 2018 dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
(di seguito “AGCM” o “Autorità”).
Le Linee Guida delineano delle procedure / attività per orientare le imprese nella concreta implementazione del
Programma definendone il contenuto.
Le Linee Guida considerano prioritario il perseguimento dei seguenti:
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OBIETTIVI DI POLICY:
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La promozione di una cultura della concorrenza diffusa nel tessuto imprenditoriale;
La prevenzione degli illeciti antitrust attraverso la tempestiva adozione di programmi di
compliance efficaci;
La certezza giuridica in ordine ai criteri di valutazione dei programmi di compliance ai fini del
riconoscimento dell’attenuante;
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Il Programma rappresenta la chiara espressione di AC di promuovere ed attuare ad ogni livello della propria struttura
aziendale la prevenzione di violazioni antitrust.
Invero, i principi del libero mercato e della concorrenza rientrano a pieno tra i valori fondamentali di AC,
l’osservanza dei quali costituisce un elemento base della mission di AC. Con l’adozione del Programma AC rinnova
il proprio impegno al pieno rispetto delle regole antitrust, promuovendone la conformità da parte di ciascun
dipendente e di ciascun processo aziendale di natura commerciale. Come meglio specificato nel proseguo del presente
documento, il Programma consente a AC di beneficiare di una serie di vantaggi, in particolare sotto il profilo delle
mitigazioni delle sanzioni pecuniarie eventualmente applicate dall’AGCM, così come previsto dalle indicazioni
contenute nelle Linee Guida sulle modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni
amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità.
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PARTE 1 - COMPLIANCE ANTITRUST DI AIR CORPORATE
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CAPITOLO 1.1 - IL CONTENUTO DEL PROGRAMMA COMPLIANCE ANTITRUST
Con il termine “antitrust” s’intende l’insieme di norme che compongono il diritto della concorrenza e garantiscono
un mercato in cui la competizione tra imprese è dinamica ed effettiva. Tali norme, infatti, hanno la finalità precipua
di assicurare il corretto funzionamento delle dinamiche concorrenziali, onde evitare che la competizione tra imprese venga ridotta o falsata, impedendo così il miglioramento della qualità di prodotti e servizi nonché alterando la formazione dei prezzi, a danno dei consumatori.
L’idoneità sostanziale del Programma a svolgere funzione preventiva degli illeciti antitrust costituisce il parametro
di riferimento fondamentale nella valutazione dello stesso al fine del riconoscimento dell’attenuante. Il Programma
è disegnato ed attuato in coerenza con le caratteristiche di AC e del contesto del mercato in cui opera e riflettere la
natura, il grado del rischio antitrust a cui essa è esposta e può, dunque, essere considerato adeguato
e potenzialmente efficace.
Il Programma, pertanto, è adeguato alla natura, alla dimensione e alla posizione di mercato di AC. In generale, infatti,
il tipo di attività che l’impresa svolge determina i rischi antitrust ai quali la stessa è esposta. Il disegno dei processi e
delle procedure necessari per un’efficace prevenzione degli illeciti antitrust, inoltre deve essere proporzionato alla
complessità dell’organizzazione aziendale e all’articolazione dei livelli di management. Anche l’esposizione
dell’impresa nel mercato costituisce un elemento di rilievo: ciò è evidente nel caso in cui il potere di mercato
dell’impresa sia tale da richiedere la gestione del rischio antitrust derivante da possibili condotte di natura abusiva.
Il programma di compliance deve essere adeguato al contesto di mercato. Ad esempio, i rischi collusivi possono
dipendere:
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dal numero di imprese attive
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dalle dimensioni
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delle stesse
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dal grado di trasparenza
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delle condizioni commerciali
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dalla frequenza dei contatti tra le imprese
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Analogamente, per un’impresa in posizione dominante, i rischi antitrust possono dipendere dall’organizzazione della
filiera produttiva, ossia dai rapporti che l’impresa intrattiene con i clienti e fornitori, Anche la dinamicità del contesto
competitivo può assumere rilievo, in quanto incide sul rischio antitrust fronteggiato dall’impresa e di conseguenza
sull’esigenza di monitoraggio continuo dell’adeguatezza del programma compliance.
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CAPITOLO 1.2 - VANTAGGI DELLA COMPLIANCE ANTITRUST COME PARTE INTEGRANTE DELLA CULTURA E DELLA POLITICA AZIENDALE.
Per poter garantire l’effettivo rispetto delle regole antitrust, AC si assicura che l’intera organizzazione aziendale
conosca e comprenda tali regole.
Un efficace programma di compliance richiede un chiaro riconoscimento del valore della concorrenza come parte
integrante della cultura e della politica aziendale e l’impegno, continuo e duraturo, al suo rispetto. A tal fine AC
destina risorse sufficienti all’attuazione del Programma affinché siano rispettati i principi di autonomia, indipendenza
del Responsabile e che siano attuati sistemi adeguati.
L’ effettivo impegno nell’attività di AC nel prevenire degli illeciti antitrust è assicurato in quanto:
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La concorrenza è effettivamente riconosciuta, nel Codice Etico di condotta aziendale, come valore
fondante dell’attività di impresa;
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È sviluppato un programma di compliance espressamente destinato alla prevenzione del rischio antitrust.
Il programma di compliance antitrust è parte dei sistemi di controllo e di gestione di altri e diversi rischi
cui AC è parimenti esposta; il programma di compliance è sostenuto dai vertici aziendali, anche attraverso
il loro coinvolgimento concreto nell’attuazione e nel monitoraggio del Programma;
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Sono destinate risorse aziendali sufficienti al disegno, all’attuazione e al monitoraggio del programma;
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È stato individuato un Responsabile del programma a cui vengono riconosciuti autonomia, indipendenza,
risorse e strumenti adeguati. Il Responsabile risponde direttamente ai massimi vertici aziendali.
Ai fine dell’attuazione del Programma Ac nomina quale Responsabile del programma l’Avvocato Rocca Maria.
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CAPITOLO 1.3 - ATTIVITÀ DI FORMAZIONE
Il Programma prevede attività di formazione e di training del personale, dirette a rafforzare la conoscenza e la
comprensione della normativa antitrust.
In particolare, sono istituiti corsi di formazione e aggiornamento, su base continuativa, programmati con cadenze
temporali regolari e con eventuali interventi straordinari, suddivisi, oltre che per livello, per aree di business e
incentrati sui rischi specifici che ciascuna area si trova a fronteggiare nell’ambito della propria attività.
Lo scopo principale, infatti, è quello di fornire a ciascuna area di business delle linee guida che possano essere
utilmente seguite nell’ambito delle diverse iniziative condotte, già prima e indipendentemente dal coinvolgimento
della funzione antitrust aziendale.
È privilegiato un approccio incentrato sui casi pratici (es. con la riproduzione di mock case), per catturare l’interesse
dell’audience e far sì che il singolo partecipante non riceva nozioni puramente teoriche ma anche, e soprattutto,
strumenti concreti utilizzabili nella propria attività quotidiana.
Il momento della formazione e dell’approfondimento del diritto della concorrenza è essenziale al fine di consentire
che i comportamenti conformi alla disciplina antitrust entrino a far parte in maniera intrinseca nella cultura
aziendale.
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CAPITOLO 1.4 - IL MONITORAGGIO E MIGLIORAMENTO CONTINUO
La compliance antitrust non è un semplice processo end-to-end quanto, piuttosto, un processo circolare che necessita
di continua revisione e affinamento, dovendo rispondere a sollecitazioni esterne che si evolvono e modificano nel
corso del tempo.
L’ultima fase di questo processo circolare è quella del monitoraggio, che ha un duplice scopo:
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verificare l’efficacia e il livello di concreta attuazione del programma adottato
-
consentire una revisione dello stesso
-
monitoraggio
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Consentire una revisione dello stesso, laddove i rischi identificati e la loro valutazione subiscano modifiche -
inevitabile conseguenza di un contesto dinamico come quello di mercato - e le misure predisposte non risultino più
appropriate.
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CAPITOLO 1.5 - IMPEGNO ALLA COMPLIANCE DA PARTE DEL VERTICE AZIENDALE
Il rispetto del diritto della concorrenza rappresenta un aspetto fondamentale della governance di ciascuna impresa.
Da qui l’impegno (c.d. commitment) da parte del vertice aziendale (c.d. senior management) di AC volto
all’individuazione delle aree di rischio e alla prevenzione delle possibili violazioni.
AC ritiene, infatti, che solo la convinzione e l’impegno costante, continuo e manifesto del senior management
possano assicurare che ciascun dipendente consideri l’obiettivo della compliance antitrust come un obiettivo proprio, quasi fosse un vero e proprio atteggiamento mentale di ciascuno (c.d. mindset), e si adoperi per raggiungerlo.
La stessa Commissione Europea ha affermato in più occasioni che il supporto dei vertici aziendali è essenziale per
poter creare una cultura del rispetto delle leggi nella struttura societaria.
Ciò detto, è ovvia la necessità di cooperazione da parte di tutti i livelli aziendali: ogni dipendente dovrà
rispettare la disciplina antitrust e uniformarsi a quanto stabilito nella strategia interna, atteso che le condotte del
singolo sono idonee a comportare la responsabilità e la punibilità dell’impresa nella sua totalità.
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CAPITOLO 1.6 - MECCANISMI DI WHISTLEBLOWING
Un altro importante strumento di risk mitigation è costituito dall’adozione di sistemi interni di denuncia di possibili
violazioni, attraverso cui ciascun dipendente dell’impresa può segnalare, in modo confidenziale e anonimo, condotte sospette di infrangere la disciplina antitrust di cui sia venuto a conoscenza nell’ambito della propria attività.
I canali attraverso cui possono essere formulate le segnalazioni sono molteplici (es. piattaforme web, linee telefoniche c.d. whistleblowing o helpline o hotline).
L’impresa può raccogliere le segnalazioni in house, affidando tale compito a un numero di risorse adeguato a fornire
tempestive e appropriate risposte ai rilievi formulati, oppure, ove le disponibilità economiche lo consentano, in
outsourcing, avvalendosi di società terze specializzate nella fornitura del servizio di raccolta delle segnalazioni.
Il canale che offre maggiori garanzie in termini di sicurezza e qualità delle informazioni trasmesse è la piattaforma
web, soprattutto se gestita da una società esterna specializzata nella fornitura di servizi di questo tipo. Mediante la
piattaforma, il denunciante compila un apposito formulario la cui struttura e il cui contenuto sono stati
preventivamente concordati con l’impresa richiedente.
La soluzione in house, invece, ha sicuramente il pregio di essere più economica e di offrire maggiori certezze circa il
fatto che il sistema sia effettivamente ritagliato sulle specifiche esigenze dell’organizzazione aziendale.
Al fine di incoraggiare l’attività di segnalazione, il sistema dovrebbe comunque prevedere adeguate misure di tutela
del soggetto segnalante. Si deve, infatti, cercare di garantire nella misura massima possibile la confidenzialità delle
informazioni rilevate e l’anonimato del segnalante. Lo scopo è evitare che quest’ultimo rinunci a denunciare possibili
infrazioni.
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CAPITOLO 1.7 - IDENTIFICAZIONE E VALUTAZIONE DEL RISCHIO ANTITRUST SPECIFICO DELL’IMPRESA
Un programma di compliance efficace deve essere elaborato sulla base di un’attenta analisi del rischio di porre in
essere condotte anti-competitive che l’impresa si trova a fronteggiare (c.d “rischio antitrust”).
Un’approfondita analisi dei rischi permette la corretta individuazione delle priorità di intervento attraverso
l’identificazione delle aree più problematiche e delle attività di prevenzione e/o gestione adeguate e la conseguente
massimizzazione dell’efficacia delle risorse impiegate per la sua realizzazione. In un’ottica di gestione del rischio,
infatti, è auspicabile che la singola impresa destini prioritariamente le risorse alle attività e alle aree di gestione
maggiormente esposte ai rischi di violazione delle norme a tutela della concorrenza.
Per tale motivo, la rispondenza del Programma allo specifico rischio antitrust dell’impresa costituisce elemento
portante della valutazione in merito alla sua adeguatezza ai fini del riconoscimento dell’attenuante. In ultima istanza,
infatti, l’efficacia del programma dipende dalla sua capacità di prevenire o gestire i rischi antitrust nell’attività di
impresa al fine di minimizzarli o eliminarli del tutto.
Una volta identificati, i rischi antitrust devono essere valutati, sia per determinare la probabilità che ciascuno di essi
si concretizzi sia per stimare il loro potenziale impatto.
Nella fase di valutazione del rischio, è consigliabile definirne il livello di gravità e classificarlo come elevato, medio
e basso.
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a seconda della dimensione e delle caratteristiche dell’impresa e, quindi, della probabilità che, avuto riguardo a tali
caratteristiche, esso si concretizzi. A prescindere dall’aspetto dimensionale, un’altra variabile in grado di incidere sul
profilo di rischio riguarda la capacità di una determinata area aziendale di entrare in contatto con l’esterno (clienti,
fornitori, concorrenti).
In via generale e astratta, possono essere considerate come esposte a un rischio antitrust elevato le aree:
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1 - responsabili di decisioni strategiche per l’impresa;
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2 - di business, in particolare le divisioni commerciali che si occupano di vendite/acquisti, marketing, pricing ecc.;
3 - incaricate di rappresentare l’impresa presso le associazioni di settore o che possono più facilmente instaurare
i rapporti con i competitor.
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Diversamente, sono generalmente meno esposte a un rischio antitrust le aree:
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1 - che svolgono funzioni strettamente operative e di staff;
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2 - amministrative;
3 - di back-office.
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Il Programma si pone i seguenti obiettivi:
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Sviluppare comportamenti innovativi e pro-competitivi volti a rafforzare la cultura antitrust all'interno
dell'organizzazione aziendale
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Accrescere la consapevolezza del senior management, dei manager e di tutti i dipendenti circa la
rilevanza che la normativa antitrust ha sulle attività quotidiane e sui doveri professionali di ciascuno
-
Fornire una guida pratica per assicurare che tutti comprendano i principi fondamentali della normativa
antitrust ed agiscano in piena conformità ad essa
-
Predisporre standard di comportamento per tutto il personale nella conduzione degli affari e delle
relazioni commerciali con terze parti
-
Identificare le aree di rischio e adottare, conseguentemente, misure preventive e/o correttive, anche al
fine di ottenere un vantaggio competitivo
Il Programma si applica alle relazioni con i concorrenti, a quelle con i clienti, i fornitori, i contraenti e ogni altra
terza parte con cui AC si trovi ad intrattenere rapporti di natura commerciale. Tutti i dipendenti sono tenuti ad
operare, nello svolgimento dei propri doveri e nelle relazioni con gli altri operatori economici, in conformità e nel
rispetto della normativa antitrust.
Costituisce responsabilità individuale di ciascuno agire secondo tali regole e non mettere in atto comportamenti che
possano, in qualunque modo, anche in via potenziale, avere come oggetto od effetto quello di falsare o restringere la
concorrenza nell’ambito del mercato in cui AC opera, esercitando la propria attività di impresa.
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CAPITOLO 1.8 - SANZIONI DISCIPLINARI
Il successo e l’effettività di una strategia di compliance antitrust dipende anche dalla previsione di specifiche sanzioni disciplinari, come conseguenza delle violazioni della normativa antitrust e del programma appositamente adottato per evitarle; sanzioni che possono riguardare chiunque, incluse le figure apicali dell’impresa.
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Tali sanzioni, da prevedere nel programma di compliance, possono essere di diverso tipo
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può trattarsi di un mero richiamo (orale informale o
scritto formale) o di una multa, eventualmente
accompagnati dall’obbligo di partecipare a corsi di
formazione e aggiornamento sulla normativa
antitrust;
ma anche di sanzioni più gravi incidenti sulla carriera
del responsabile dell’infrazione, come la sospensione,
il demansionamento, l’arretramento
nell’inquadramento o la mancata promozione fino al
licenziamento o all’azione legale.
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Il tipo di sanzione applicata può variare in funzione della gravità dell’infrazione nonché dell’elemento soggettivo
della persona o delle persone fisiche materialmente responsabili dell’infrazione in questione. Si dovrebbe distinguere, infatti, al fine di graduare la sanzione eventualmente imposta, a seconda che la violazione sia stata commessa intenzionalmente oppure con negligenza.
In ogni caso, la politica sanzionatoria adottata deve essere applicata in modo coerente all’intera struttura aziendale:
deve essere chiaro cioè che chiunque ponga in essere una condotta contraria al diritto antitrust e alle policy di
conformità interne è passibile di sanzione disciplinare, indipendentemente dal ruolo ricoperto nell’impresa.
Questo aspetto è di particolare rilevanza, non solo a fini dissuasivi, ma anche per poter dimostrare il serio impegno
dell’impresa alla compliance nonostante l’infrazione. Al riguardo, è importante considerare, come anticipato, che le
Linee guida dell’AGCM annoverano tra le circostanze attenuanti i programmi di compliance, con l’avvertenza però
che la loro mera esistenza non incide sulla valutazione della gravità della violazione essendo piuttosto necessaria la
dimostrazione di un effettivo e concreto impegno al rispetto degli stessi.
In conclusione, un programma di compliance credibile non può prescindere dalla definizione di adeguate misure
disciplinari, idonee a diffondere tra dipendenti e partner dell’impresa il messaggio della “tolleranza zero” nei
confronti delle violazioni della normativa antitrust.
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PARTE 2 - LE REGOLE ANTITRUST
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CAPITOLO 2.1 - IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA EUROPEO
Le principali regole europee della concorrenza rivolte alle imprese sono i divieti di intese restrittive e di abuso di
posizione dominante e il sistema di controllo preventivo delle concentrazioni. Queste norme riguardano, entro certi
limiti, anche le imprese che gestiscono servizi di interesse economico generale o godono di diritti speciali o esclusivi.
1.1 IL DIVIETO DI INTESE RESTRITTIVE
L’articolo 101 del TFUE vieta le intese restrittive della concorrenza che pregiudichino il commercio tra Stati membri.
L’ampia portata del divieto riguarda:
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se l’oggetto dell’intesa è anticoncorrenziale, non occorre provarne anche gli effetti restrittivi della concorrenza;
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qualsiasi restrizione della concorrenza è vietata, sia che il gioco della concorrenza venga impedito o eliminato sia che risulti semplicemente ristretto o falsato;
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non solo gli “accordi” tra le imprese e le “decisioni” di associazioni di imprese, ma anche le pratiche concordate dalle imprese senza un vero e proprio accordo;
-
le intese che abbiano ad oggetto la restrizione della concorrenza, ma anche quelle che producano solo un effetto di questo tipo;
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Nonostante l’indicazione perentoria del primo comma che le intese restrittive sono “incompatibili con il mercato
comune ”, l’articolo 101 (3) TFUE consente deroghe se i benefici complessivi dell’intesa superino gli effetti negativi
per la concorrenza. Ciò avviene laddove siano soddisfatte alcune condizioni cumulative: benefici per la produzione,
distribuzione o innovazione riservati in congrua parte ai clienti; restrizioni della concorrenza non ingiustificate o
eccessive.
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1.2 IL DIVIETO DI ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE
L’articolo 102 del TFUE vieta lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante.
Questo divieto presuppone che l’impresa dominante, non essendo soggetta a un’effettiva pressione concorrenziale,
tenda ad operare in modo inefficiente svilendo la qualità dei prodotti o servizi offerti sul mercato e agendo in generale a danno dei fornitori e dei clienti finali.
Detenere una posizione dominate o acquisirla mediante crescita interna non è in sé illecito. Le imprese efficienti
sono gestite proprio con l’obiettivo di conquistare i mercati e raggiungere quando possono significative posizioni di
mercato. L’articolo 102 TFUE colpisce solo il comportamento dell’impresa che usi indebitamente la propria
dominanza per ostacolare la concorrenza o per sfruttare indebitamente le controparti contrattuali.
1.3 IL CONTROLLO PREVENTIVO DELLE CONCENTRAZIONI
La creazione del mercato comune aveva tra gli obiettivi quello di stimolare la crescita delle imprese europee, affinché conseguano economie di scala e di scopo. L’ondata di concentrazioni che ne seguì fu accolta con favore, nella misura in cui permetteva una concorrenza dinamica tra le imprese e aumentava la competitività dell’industria europea.
Tuttavia fu presto chiaro alle istituzioni europee che i divieti di illeciti anticoncorrenziali non bastavano ad evitare
che questo massiccio processo di riorganizzazione societaria danneggiasse in maniera permanente la struttura
competitiva dei mercati, ad esempio creando entità economiche con troppo potere di mercato, in grado di impedire
una concorrenza effettiva.
Alla fine del 1989. Il legislatore UE ha quindi introdotto un sistema di valutazione preventiva delle concentrazioni,
che obbliga le imprese a notificare alla Commissione tutte le concentrazioni di dimensione europea , ossia tra imprese con fatturati superiori a determinate soglie. Questo sistema è stato modificato all’inizio del 2004 con il Regolamento 139/04, ora in vigore.
Lo scopo del controllo delle concentrazioni è poter vietare tempestivamente le operazioni strutturali (nella forma di
fusioni, acquisizioni o creazioni di joint venture autonome rispetto alle imprese madri) che ostacolino la concorrenza
effettiva nel mercato comune o in una sua parte sostanziale, in particolare, ma non solo, mediante la creazione o il
rafforzamento di una posizione dominante.
L’obbligo di notifica dipende da un calcolo matematico dei fatturati delle imprese interessate che prescinde
completamente dal merito dell’operazione. Pertanto, l’acquirente deve effettuare la notifica anche se il progetto di
concentrazione è del tutto innocuo per la concorrenza, ad esempio perché le imprese interessate non operano negli
stessi mercati né in mercati contigui o collegati.
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CAPITOLO 2.2 - LA NORMATIVA ITALIANA
Le regole di concorrenza nazionali recepiscono in buona misura il diritto UE. In forza dell’articolo 1 (4) Legge n.
287/90, l’interpretazione delle principali norme sostanziali ivi contenute deve essere “effettuata in base ai principi
dell’ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza ”. Pertanto anche quando applica
tali regole l’Autorità fa costante riferimento alla legislazione, alla giurisprudenza e alla prassi decisionale dell’UE,
conformandovi tendenzialmente le proprie decisioni.
Il divieto di intese restrittive della legge nazionale è praticamente identico a quello europeo. L’articolo 2 della Legge
287/90 vieta simile intese, sancendone la nullità, in termini analoghi all’articolo 101 (1) e (2) TFUE. Il successivo
articolo 4 della Legge nazionale consente deroghe al divieto, nel rispetto di quattro condizioni cumulative simili a
quelle dell’articolo 101 (3) TFUE. Ve ne è però una ulteriore: la “necessità di assicurare alle imprese la necessaria
concorrenzialità sul piano internazionale”.
Anche per l’abuso di posizione dominante e il controllo delle concentrazioni, le disposizioni nazionali corrispondono
in gran parte a quelle UE.
L’articolo 3 Legge 287/90, come l’articolo 102 TFUE, vieta ogni sfruttamento abusivo di posizione dominate.
La disciplina nazionale delle concentrazioni (articoli 5, 6 e 16 Legge 287/90) replica ,con poche differenze il sistema
di controllo della concentrazioni europeo, prevedendo un obbligo di notifica preventiva al superamento di certe
soglie di fatturato, una definizione dei fenomeni concentrativi ispirata a quella UE e un test di valutazione sostanziale tuttora analogo a quello del vecchio regolamento comunitario in vigore fino al 2004 (l’Italia ha infatti omesso di allinearsi alle modifiche del sistema europeo).
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CAPITOLO 2.3 - I DESTINATARI DELLA NORMATIVA ANTITRUST:
Per impresa s’intende qualsiasi soggetto, di natura pubblica o privata, cui possa ascriversi un’attività economica di
produzione o scambio di beni o di servizi su un determinato mercato, anche se non a scopo di lucro, in modo duraturo e indipendente, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di funzionamento. La nozione di impresa, quindi, è funzionale, nel senso che si riferisce al tipo di attività svolta anziché alle caratteristiche dell’operatore che la esercita.
Sotto il profilo dimensionale, inoltre, il concetto di impresa trascende la singola entità economica: più soggetti, pur
se giuridicamente separati, sono considerati un’unica impresa se operano come un’unica unità economica, con il
medesimo fine commerciale e sotto una direzione unitaria.
Come la nozione di impresa, anche quella di intesa, sviluppata sempre dalla giurisprudenza comunitaria e accolta
dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito “AGCM” o ”Autorità”), è di ampia portata. Le
norme di riferimento vietano tre forme di intesa: gli accordi, le decisioni di associazioni di imprese e le pratiche
concordate. L’elemento comune è costituito dalla collaborazione tra le imprese che dà luogo a comportamenti anche solo potenzialmente diversi da quelli che sarebbero dettati dalla struttura e dal contesto di mercato. Sono inoltre imprescindibili la pluralità delle parti e il concorso di volontà, anche tacito, tra le imprese che decidono di concordare le rispettive condotte commerciali.
Nella nozione di accordo viene fatta rientrare ogni manifestazione dell’incontro tra le volontà di più imprese, a
prescindere dalla forma utilizzata e dalla vincolatività di tale manifestazione. Alla luce dei precedenti comunitari e
nazionali, infatti, è sufficiente una semplice manifestazione di volontà comune raggiunta nel contesto di riunioni tra
rappresentanti delle imprese, anche in assenza di verbali e resoconti delle riunioni medesime, nonché di specifici
meccanismi di esecuzione dell’accordo.
Le decisioni di associazioni di imprese sono le deliberazioni adottate da organismi rappresentativi di una categoria di imprese volte a influenzare le condotte commerciali dei propri associati, producendo effetti anticoncorrenziali.
Per associazione di imprese s’intende qualsiasi struttura avente natura corporativa (dotata o meno di personalità
giuridica) che, indipendentemente dal perseguimento di uno scopo di lucro, svolge la funzione di esprimere la volontà collettiva delle imprese che vi aderiscono, influenzandone le singole condotte. Rientra nella nozione di decisione di associazione d’impresa ogni forma di deliberazione anche non vincolante, come ad esempio le delibere, i regolamenti,
i codici di autodisciplina, i comunicati stampa, le raccomandazioni, le circolari, le tariffe professionali e i codici di
condotta, nella misura in cui tali atti siano idonei a coordinare le condotte commerciali delle imprese destinatarie.
La nozione di pratica concordata fa riferimento a ogni forma di coordinamento con cui le imprese, pur senza
giungere a un vero e proprio accordo, consapevolmente sostituiscono la reciproca cooperazione ai rischi della
concorrenza. In particolare, essa mira a sottoporre al divieto di intese anticoncorrenziali tutte quelle fattispecie
collusive, che non rientrano nelle prime due categorie e, quindi, non costituiscono né un accordo né una decisione
di associazione di imprese.
Al fine di individuare la pratica concordata, la giurisprudenza europea, cui quella nazionale si è allineata, ne ha
progressivamente identificato tre elementi costitutivi:
-
l’esistenza di un contatto tra le imprese;
-
la successiva condotta tenuta sul mercato dalle imprese partecipanti alla concertazione;
-
un nesso causale tra i contatti tra concorrenti e la loro successiva condotta di mercato.
Anche il comportamento semplicemente parallelo, dunque, può essere qualificato come pratica concordata qualora
la concertazione sia l’unica spiegazione possibile per il comportamento stesso. È però necessaria l’esistenza di una
qualche forma di contatto tra le imprese, che consenta loro di conoscere le rispettive strategie commerciali.
A ben vedere, quindi, il parallelismo di comportamenti non prova da solo l’esistenza della pratica concordata ma può
fornire indizi in questo senso se, tenuto conto della natura dei prodotti, della struttura e delle caratteristiche del
mercato, non sia possibile rinvenire una spiegazione alternativa idonea a escludere ragionevolmente la concertazione.
​
​
A titolo di esempio, un sistema di riunioni periodiche tra le parti, nell’ambito delle quali le imprese si scambiano
informazioni sensibili relative alle proprie attività, è un elemento utile a dimostrare che l’uniformità delle politiche
commerciali è il frutto di un consapevole coordinamento. La concertazione, infatti, che non presuppone
necessariamente un accordo potendo derivare da semplici raccomandazioni, suggerimenti o comunicazioni dei propri prezzi o di altre condizioni di vendita, deve avere altresì una ricaduta concreta e diretta sulla condotta delle imprese.
Le intese possono distinguersi in orizzontali e verticali; distinzione che non si rintraccia nel TFUE tantomeno nella legge n. 287/90, ma che è diffusa nella pratica degli affari ed è stata recepita negli atti di Commissione e Consiglio.
​
Per intese orizzontali s’intendono accordi o pratiche concordate conclusi tra due o più imprese
operanti al medesimo stadio della catena di produzione o di distribuzione ovvero imprese concorrenti attive nello stesso ambito merceologico e geografico. Le forme più comuni nonché maggiormente lesive della
concorrenza di intese orizzontali sono quelle elencate dall’articolo 101 del TFUE,
come dall’articolo 2 della legge n. 287/90.
Per intese verticali s’intendono accordi o pratiche concordate conclusi tra due o più imprese operanti a un diverso livello della catena di produzione o di distribuzione e relative alle condizioni in base alle quali le parti possono acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi. Ne rappresentano esempi tipici gli accordi di distribuzione tra produttori e commercianti all’ingrosso o dettaglianti oppure gli accordi tra un distributore e un rivenditore al dettaglio o tra un fornitore di materia prima e un produttore del prodotto
finito. Anche le intese verticali, come quelle orizzontali, sono in grado di falsare il gioco della libera concorrenza; tuttavia, in genere, godono di un trattamento più favorevole perché non coinvolgono imprese in diretta
concorrenza tra loro e, in virtù della complementarità di queste ultime, possono generare guadagni di efficienza.
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CAPITOLO 2.4 - LE FATTISPECIE TIPIZZATE
Sia la normativa comunitaria (art. 101, par. 1, lett. a) - e), TFUE) sia quella nazionale (art. 2, co. 2, lett. a) – e), L. n.
287/90) si preoccupano di tipizzare alcuni comportamenti che, ove realizzati, integrano senz’altro una fattispecie di
intesa. In particolare, essi consistono nel:
a) fissare i prezzi d’acquisto o di vendita o determinare in comune altre condizioni contrattuali;
b) restringere l’offerta, impedendo o limitando la produzione, l’accesso al mercato, gli investimenti, lo
sviluppo tecnico o il progresso tecnologico;
c) compartimentare i mercati;
d) adottare nei confronti dei contraenti trattamenti differenziati per prestazioni equivalenti in assenza di
giustificazioni oggettive;
e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni
supplementari estranee all’oggetto dei contratti stessi.
a) La fissazione dei prezzi costituisce la forma di intesa maggiormente sanzionata.
Essa è considerata anti-competitiva anche se le indicazioni di prezzo sono non vincolanti o, anziché fissare un prezzo determinato, prescrivono il rispetto di un livello di prezzi sia massimi che minimi.
Il divieto, inoltre, colpisce le pratiche che si concretizzano nella fissazione di condizioni contrattuali diverse dal
prezzo (garanzia, modalità di pagamento, servizi aggiuntivi offerti ai clienti ecc.), ma che egualmente tendono a
standardizzare l’offerta sul mercato.
b) La limitazione della produzione è finalizzata ad aumentare i prezzi a livelli sopra-competitivi, attraverso una
riduzione delle quantità prodotte dalle imprese parti dell’intesa e conseguente restrizione dell’offerta.
Le forme in cui questa pratica può estrinsecarsi sono varie: ad esempio, attraverso la determinazione delle quantità
che ciascuna impresa membro dell’intesa può produrre o vendere, lasciando che sia il mercato a stabilire il prezzo;
oppure attraverso la determinazione di un tetto alla produzione che viene ripartita per quote (in questo caso, ciascun membro dell’intesa si obbliga a ridurre la propria offerta di una certa quantità o percentuale, con la conseguenza che, nonostante le quote di mercato rimangano costanti, la quantità del bene sul mercato si contrae e i prezzi aumentano).
c) La compartimentazione dei mercati è finalizzata a circoscrivere l’area di azione di ciascun concorrente e può essere realizzata attraverso un accordo che determina l’allocazione dei clienti o delle aree geografiche in cui ciascuna impresa può operare.
In presenza di forme di cooperazione che hanno come obiettivo la fissazione dei prezzi, la limitazione della
produzione o la compartimentazione dei mercati si suole parlare di cartelli. I cartelli, che si caratterizzano per la loro
segretezza, limitano fortemente la concorrenza e danneggiano i consumatori. Proprio per questo, la loro scoperta
rappresenta uno degli obiettivi fondamentali dell’azione delle autorità di concorrenza.
​
CAPITOLO 2.5 - ULTERIORI FATTISPECIE
Accanto alle fattispecie tipizzate dalle norme, la prassi di Commissione e AGCM ha rilevato ulteriori fattispecie
collusive, di cui costituiscono gli esempi più significativi lo scambio di informazioni e il coordinamento nella
partecipazione alle gare pubbliche.
LO SCAMBIO DI INFORMAZIONI
Lo scambio di informazioni può sia rilevare in quanto parte di un accordo orizzontale, nel senso che lo scambio è elemento di sostegno o di attuazione dell’accordo (e in questo caso, va valutato nell’ambito dell’accordo in cui
s’inserisce), sia integrare esso stesso una fattispecie autonoma di intesa ai sensi dell’articolo 101 del TFUE o
dell’articolo 2 della legge n. 287/90.
Perché lo scambio di informazioni sia rilevante dal punto di vista antitrust bisogna esaminare i seguenti elementi:
-
il grado di sensibilità delle informazioni scambiate: affinché il divieto operi, i dati scambiati devono
essere sensibili, ossia strategici (prezzi, elenchi di clienti, costi di produzione, quantità, fatturati,
vendite, capacità, qualità, progetti di marketing, rischi, investimenti, tecnologie, programmi e risultati
di ricerca e sviluppo) e non pubblici (non facilmente accessibili, in considerazione dei costi di accesso,
per tutti i concorrenti e i consumatori);
​
-
il livello di aggregazione dei dati scambiati: in generale, è lecito diffondere dati di mercato
effettivamente aggregati - ossia dati attraverso cui non si possa risalire alle singole imprese - sotto
forma di statistiche. A ben vedere, però, anche la diffusione di tali dati potrebbe essere rivelatrice di
un intento collusivo qualora il mercato di riferimento sia rigidamente oligopolistico: quanto più è
rigido e ristretto l’oligopolio, infatti, tanto più è agevole disaggregare i dati e favorire un equilibrio
collusivo;
-
l’attualità dei dati oggetto di condivisione: lo scambio di dati storici può dirsi irrilevante, trattandosi di
dati difficilmente indicativi del futuro comportamento dei concorrenti. Ciò detto, tuttavia, non esiste
una soglia predeterminata oltre la quale i dati diventano storici e, pertanto, occorre guardare alle
caratteristiche del mercato. Ad esempio, se il mercato è caratterizzato da frequenti momenti di
contrattazione, un dato vecchio più di un anno può essere considerato storico; diversamente, se si
contratta una volta l’anno, un dato risalente all’anno precedente è senz’altro rilevante e attuale;
-
la frequenza degli scambi informativi: è chiaro che una maggiore frequenza nello scambio consente sia
una migliore comprensione del mercato che un maggior controllo dello stesso, con l’aumento del
rischio di un’ipotesi collusiva. Tuttavia, va precisato che anche uno scambio meno frequente potrebbe
essere sufficiente a determinare un esito collusivo nei mercati con contratti a lungo termine, nei quali
la frequenza di rinegoziazione dei prezzi è scarsa. Diversamente, uno scambio simile non servirebbe
allo scopo collusivo nei mercati con contratti a breve termine e frequenti rinegoziazioni dei prezzi.
​
Particolare attenzione va prestata a riunioni e incontri in seno alle associazioni di categoria, in quanto, in diverse
occasioni, l’Autorità ha ritenuto che proprio questa fosse la sede privilegiata per lo scambio di informazioni. Per
evitare queste potenziali derive anti-competitive, è buona norma che l’impresa che intenda partecipare agli incontri
associativi adotti una serie di cautele pratiche, tra cui:
​
-
verificare la legittimità delle finalità statutarie dell’associazione;
-
farsi trasmettere e controllare preventivamente l’ordine del giorno di ciascun incontro, nonché assicurarsi che
sia tenuto un verbale delle questioni effettivamente discusse;
-
designare, in propria rappresentanza, preferibilmente dirigenti o dipendenti con cariche o mansioni di natura
tecnica e non commerciale;
-
prevedere possibilmente la presenza alle riunioni del consulente legale, dirigente o dipendente con un’adeguata
conoscenza del diritto della concorrenza, in grado di monitorare lo svolgimento delle discussioni; e
-
istruire i propri rappresentanti ad astenersi dall’organizzare (o comunque prendere parte a) incontri informali
a monte o a valle delle riunioni ufficiali.
IL COORDINAMENTO NELLA PARTECIPAZIONE ALLE GARE PUBBLICHE
Gli accordi anticoncorrenziali aventi a oggetto gare per l’assegnazione di appalti pubblici (c.d. bid rigging)
costituiscono forme particolarmente offensive di infrazione delle regole della concorrenza e sono qualificati come
restrizioni hardcore dalla giurisprudenza sia nazionale che comunitaria.
Per quanto attiene al problema della costituzione di Associazioni Temporanee di Imprese (ATI), Raggruppamenti
Temporanei di Imprese (RTI) e Consorzi per la partecipazione alle gare, l’Autorità ha ritenuto che tali forme di
cooperazione tra imprese siano senz’altro compatibili con la normativa antitrust nella misura in cui consentano a
imprese attive in fasi differenziate di una stessa filiera di poter presentare la propria offerta a gare a cui
individualmente non potrebbero partecipare.
Con riguardo, invece, ai raggruppamenti realizzati tra imprese che producono il medesimo bene o servizio e
dispongono ciascuna autonomamente dei requisiti finanziari e tecnici per la partecipazione alla gara (c.d. ATI
“sovrabbondanti” o “non necessarie”), di recente, l’Autorità ha chiarito che l’esclusione di tali raggruppamenti dalla
gara è legittima laddove la relativa clausola del bando:
​
1 - espliciti le ragioni della possibile esclusione in relazione alle esigenze del caso concreto, quali la natura del servizio e/o l’assetto del mercato di riferimento;
2 - preveda che l’esclusione del RTI non può essere automatica, essendo la stazione appaltante tenuta a dimostrare la sussistenza di rischi concreti e attuali di collusione delle imprese partecipanti alla gara in raggruppamento;
3 - disponga che la valutazione della stazione appaltante, relativa alla sussistenza dei possibili profili anticoncorrenziali nella formazione del raggruppamento, tenga conto delle giustificazioni - in termini di efficienza gestionale e industriale, alla luce del valore, della dimensione o della tipologia del servizio richiesto - che le
imprese partecipanti al RTI forniscono al momento della presentazione della domanda o su richiesta della stazione
appaltante.
​
​
PROCEDURA AT1 per individuare forme di intese lesive della concorrenza
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CAPITOLO 2.6 - IL REGIME DI ESENZIONE DELLE INTESE
Il divieto di porre in essere intese anticoncorrenziali trova una deroga agli articoli 101 del TFUE e 4 della legge n.
287/90, che prevedono l’inapplicabilità del divieto quando la natura anticoncorrenziale di un’intesa sia superata dai
benefici che la stessa apporta sotto il profilo della concorrenza.
L’articolo 101, paragrafo 3, del TFUE enuclea quattro condizioni cumulative, due positive e due negative, al verificarsi
delle quali l’intesa, seppur potenzialmente anticoncorrenziale, può ritenersi consentita. Tali condizioni sono
sintetizzabili come segue:
-
incrementi di efficienza realizzati attraverso il miglioramento della produzione o della
distribuzione dei prodotti o la promozione del progresso tecnico o economico;
-
destinazione agli utilizzatori di una congrua parte dell’utile derivante dall’intesa;
-
indispensabilità delle restrizioni ai predetti fini;
-
impossibilità per le imprese di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei
prodotti di cui trattasi.
​
Del pari, l’articolo 4 della legge n. 287/90 consente all’AGCM di autorizzare, per un periodo limitato, le intese vietate
ai sensi dell’articolo 2, rispondenti a quattro condizioni che parafrasano quelle individuate dalla norma comunitaria.
Va tuttavia precisato che, a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento n. 1/20035 e del sistema di eccezione legale a esso connesso, lo strumento della comunicazione volontaria delle intese ai fini della richiesta di una autorizzazione in deroga ha assunto portata residuale, come testimoniato dalla prassi applicativa.
Oltre alle esenzioni individuali, cioè relative a singole intese, la Commissione ha il potere di accordare un’esenzione
generalizzata a intere categorie di intese attraverso regolamenti d’esenzione.
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IL REGOLAMENTO UE N. 330/2010 IN MATERIA DI ACCORDI VERTICALI
Tra i regolamenti di esenzione attualmente in vigore a livello comunitario, il principale è il Regolamento UE n.
330/2010 in materia di accordi verticali.
Il Regolamento dichiara il divieto di intese restrittive della concorrenza inapplicabile a categorie di accordi verticali
e pratiche concordate che rispondano ai precisi requisiti previsti dal Regolamento stesso (artt. 2 e 3).
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​
In particolare, ai fini del beneficio dell’esenzione, deve risultare che:
​
1 - la quota di mercato detenuta dal fornitore non superi il 30% del mercato rilevante sul quale vende i beni o i
servizi oggetto del contratto;
2 - la quota di mercato detenuta dall’acquirente non superi il 30% del mercato rilevante sul quale acquista i beni o i
servizi oggetto del contratto.
​
Tuttavia, il predetto beneficio non può operare se l’accordo contiene restrizioni fondamentali (c.d. hard-core), ossia
restrizioni della concorrenza che per il probabile danno che arrecano al mercato vengono considerate
particolarmente gravi (art. 4). Queste restrizioni, pertanto, sono vietate e la loro presenza comporta che l’accordo
verticale, nella sua totalità, perda il beneficio dell’esenzione per categoria.
In particolare, sono considerate tali le restrizioni:
-
della facoltà dell’acquirente di determinare il proprio prezzo di vendita, fatta salva la possibilità per il
fornitore di imporre un prezzo massimo di vendita o di raccomandare un prezzo di vendita, a condizione
che questi non equivalgano a un prezzo fisso o a un prezzo minimo di vendita per effetto di pressioni
esercitate o incentivi offerti;
​
-
relative al territorio nel quale o ai clienti ai quali l’acquirente, che è parte contraente dell’accordo, fatta salva
una restrizione relativa al suo luogo di stabilimento, può vendere i beni o i servizi oggetto del contratto;
​
-
delle vendite attive o passive agli utenti finali da parte dei membri di un sistema di distribuzione selettiva
(vedi infra) operanti nel commercio al dettaglio, fatta salva la possibilità di proibire a un membro di tale
sistema di svolgere la propria attività in un luogo di stabilimento non autorizzato;
​
-
delle forniture incrociate tra distributori all’interno di un sistema di distribuzione selettiva, ivi inclusi i
distributori operanti a differenti livelli commerciali;
​
-
pattuite tra un fornitore di componenti e un acquirente che li incorpora, della facoltà del fornitore di vendere
tali componenti come pezzi di ricambio a utenti finali, a riparatori o ad altri prestatori di servizi non
incaricati dall’acquirente della riparazione o della manutenzione dei propri prodotti.
Secondo la Commissione, se un accordo contiene una delle descritte restrizioni si presume, salvo prova contraria, che rientri nel campo di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, del TFUE e che non soddisfi le condizioni di cui
all’articolo 101, paragrafo 3, con conseguente esclusione del beneficio dell’esenzione per categoria.
A ben vedere, trattandosi di una presunzione relativa, le imprese hanno la possibilità di dimostrare che, nel caso
concreto, esistono degli effetti favorevoli sulla concorrenza e che dalla restrizione fondamentale derivino probabili efficienze idonee a soddisfare le condizioni di esenzione. Tuttavia, spetta sempre alla Commissione valutare l’impatto sulla concorrenza prima di decidere, in via definitiva, circa la reale sussistenza delle condizioni suddette.
Ciò sta a significare che bisogna sempre porre l’attenzione sugli effetti dell’accordo così come si manifestano in
concreto e non già effettuare una valutazione in astratto, atteso che un accordo verticale apparentemente
anticoncorrenziale può, di fatto, rivelarsi vantaggioso.
​
Il Regolamento, poi, individua un novero di obbligazioni escluse dal beneficio dell’esenzione (art. 5). In particolare,
si tratta di:
1 - obblighi di non concorrenza, la cui durata sia indeterminata o superiore a cinque anni, con la
precisazione che obblighi di non concorrenza tacitamente rinnovabili oltre cinque anni sono assimilati a
quelli di durata indeterminata. Vi si include qualsiasi obbligo, diretto o indiretto, che imponga
all’acquirente di non produrre, acquistare, vendere o rivendere beni o servizi in concorrenza con i beni
o servizi oggetto del contratto, oppure di acquistare dal fornitore o da un’altra impresa, da questo indicata,
più dell’80% degli acquisti annui complessivi dei beni o dei servizi contrattuali e dei loro succedanei
effettuati dall’acquirente sul mercato rilevante;
2 - obblighi di non concorrenza dopo la scadenza del contratto, salvo che:
-
riguardino beni o servizi in concorrenza con i beni o i servizi contrattuali;
-
siano limitati a locali e a terreni in cui l’acquirente ha operato durante il periodo di vigenza del
contratto;
-
durino non più di un anno dalla scadenza dell’accordo, con possibilità di imporre una restrizione
non limitata nel tempo in relazione all’utilizzazione e alla diffusione del know-how che non sia
divenuto di pubblico dominio;
3 - obbligo diretto o indiretto che imponga ai membri di un sistema di distribuzione selettiva di non
vendere marche di particolari fornitori concorrenti. In tale ipotesi, scopo dell’esclusione è evitare che si
impedisca l’accesso al mercato a un determinato concorrente. Per sistema di distribuzione selettiva,
infatti, s’intende un sistema di distribuzione nel quale il fornitore si impegna a vendere i beni o i servizi
oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri
specificati e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non
autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato a tale sistema.
Le restrizioni escluse impediscono sempre l’operatività del beneficio d’esenzione, anche se non viene superata la
soglia della quota di mercato. In ogni caso, esse sono considerate meno gravi delle restrizioni fondamentali tanto che l’esenzione può essere applicata alla parte rimanente dell’accordo verticale ove questa sia separabile dalle restrizioni non esentate (contrariamente alle restrizioni hard-core la cui presenza impedisce che l’accordo possa beneficiare della esenzione nella sua interezza).
​
PROCEDURA AT2 per analizzare un accordo verticale
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LE LINEE DIRETTRICI SUGLI ACCORDI DI COOPERAZIONE ORIZZONTALE
Anche alcuni accordi orizzontali possono ritenersi compatibili con il diritto della concorrenza. Infatti, sebbene essi
siano considerati tra i più delicati sotto il profilo antitrust, in taluni casi possono avere una valenza pro-competitiva
qualora consentano di realizzare incrementi di efficienza o altre forme di benefici (es. maggiori qualità di beni e/o
servizi o progresso tecnologico), trasferibili ai consumatori senza che la concorrenza risulti inevitabilmente
compromessa.
In particolare, nei casi di accordi di cooperazione circoscritti a definite fasi di un processo produttivo, le parti, pur
avendo beneficiato di una cooperazione a livello intermedio di tale processo, continueranno a farsi concorrenza per
la vendita del prodotto finito.
Alla luce di ciò, la Commissione ha individuato alcuni principi che devono essere applicati nel valutare le fattispecie
in questione in quanto, secondo le parole della Commissione “gli accordi di cooperazione orizzontale possono
determinare vantaggi economici sostanziali, in particolare se combinano attività, competenze o attivi complementari.
La cooperazione orizzontale tra imprese può costituire uno strumento idoneo a condividere i rischi, ridurre i costi,
aumentare gli investimenti, mettere in comune il know-how, aumentare la qualità e la varietà dei prodotti e lanciare
più rapidamente le innovazioni sul mercato”.
Pertanto, come per gli accordi verticali, anche per quelli orizzontali la Commissione, mediante la pubblicazione di
una comunicazione sugli accordi di cooperazione orizzontale, , ha fornito un quadro di analisi applicabile alle forme
più comuni di accordi, al fine di verificare se esse siano compatibili con il divieto di intese restrittive della
concorrenza e, in caso negativo, valutare se i benefici pro-concorrenziali superino gli effetti restrittivi, così da
consentire alle imprese interessate dall’accordo di invocare l’applicazione dell’esenzione di cui all’articolo 101,
paragrafo 3, del TFUE.
​
Le tipologie di accordi orizzontali maggiormente ricorrenti possono essere sintetizzate come segue:
​
-
Accordi di ricerca e sviluppo (R&S): hanno per oggetto la realizzazione in comune da parte di due o più
imprese tra loro concorrenti di un progetto di ricerca ed eventualmente anche di sfruttamento in comune
dei risultati. Questo tipo di cooperazione può realizzarsi all’interno di un’impresa comune costituita dalle
parti a tale scopo oppure formare oggetto di un contratto sottoscritto dalle parti dell’accordo.
-
Accordi di produzione e accordi di specializzazione: con i primi, due o più imprese concordano di
fabbricare e/o fornire in comune determinati beni e/o servizi; con i secondi, le parti decidono
unilateralmente o reciprocamente di specializzarsi, cessando così la produzione di un determinato bene per
acquistarlo dal proprio partner.
-
Accordi di acquisto in comune: trattasi di accordi abitualmente conclusi da PMI che, mediante gli acquisti
in comune, mirano a conseguire presso i propri fornitori volumi e sconti simili a quelli ottenuti dalle loro
imprese concorrenti di grandi dimensioni. Anch’essi possono essere realizzati dalle parti sia mediante la
costituzione di un’impresa comune, sia mediante la conclusione di un accordo contrattuale.
-
Accordi di commercializzazione: possono realizzare la cooperazione tra imprese concorrenti
relativamente a una o più funzioni commerciali come la vendita, la distribuzione oppure la promozione dei
prodotti o servizi oggetto dell’accordo. In linea di principio, la liceità di questo tipo di accordi può essere sostenuta se essi consentono l’utilizzo in comune di una risorsa allo scopo di ridurre i costi o comunque di
razionalizzare l’attività; laddove però ciò comporti di fatto la definizione di aspetti commerciali attinenti alla
distribuzione del prodotto (vengono cioè definite anche le condizioni alle quali i prodotti devono essere
ceduti al distributore comune), è probabile ricadere nel divieto di cui agli articoli 101 del TFUE e 2 della
legge n. 287/90. Ad esempio, un accordo di commercializzazione potrebbe essere ritenuto lecito sotto un
profilo antitrust qualora sia indispensabile per consentire a un’impresa di accedere a un mercato che
altrimenti le sarebbe stato precluso (è il caso dei raggruppamenti temporanei di imprese che partecipano alle
gare pubbliche di appalto per l’aggiudicazione della titolarità dell’erogazioni di servizi e forniture oppure
della produzione di lavori). Di contro, un accordo che abbia per oggetto la fissazione dei prezzi di vendita, a
prescindere dal potere di mercato delle parti e dalla natura esclusiva dell’accordo, è di regola considerato
restrittivo.
-
Accordi di standardizzazione: hanno per oggetto la definizione di requisiti tecnici o qualitativi di prodotti
o servizi, ovvero di processi o metodi di produzione attuali o futuri.
​
​
CAPITOLO 2.7 - L’ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE E L’ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
IL DIVIETO DI ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE
Il funzionamento di un determinato mercato non viene alterato dalla sola circostanza che un’impresa raggiunga
elevate dimensioni nello stesso. Secondo la rilevante giurisprudenza europea, infatti, un’impresa può ben svilupparsi sul mercato attraverso un virtuoso processo di crescita interna e assumere di conseguenza una posizione di preminenza sul mercato in questione, i.e. posizione dominante. Ciò che invece la normativa antitrust - sia europea che nazionale - vieta è lo sfruttamento abusivo del potere di mercato di un’impresa che si trova in tale posizione.
Più precisamente, gli articoli 102 del TFUE e 3 della legge n. 287/90 vietano all’impresa che detiene una posizione
dominante all’interno del mercato europeo/nazionale o in una sua parte rilevante di:
​
-
imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre
condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose/non eque;
-
impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo
sviluppo tecnico o il progresso tecnologico a danno dei consumatori;
​
-
applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni
oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per
essi ingiustificati svantaggi della concorrenza;
​
-
subordinare la conclusione dei contratti all’accettazione da parte degli altri
contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi
commerciali, non abbiano alcuna connessione con l’oggetto dei contratti stessi.​
​
​
In altre parole, vengono posti dei vincoli al comportamento di un’impresa in posizione dominante al fine di impedirle
di compromettere lo svolgimento di una concorrenza effettiva e non falsata sul mercato. Ne deriva che condotte
normalmente consentite a imprese sprovviste di un simile potere di mercato potrebbero risultare vietate a
quell’impresa che invece detiene la posizione di preminenza, in virtù della speciale responsabilità per il
funzionamento del mercato che su di essa grava.
La verifica della posizione dominante è chiaramente il presupposto necessario per l’applicazione della disciplina
sull’abuso. L’accertamento dell’esistenza della dominanza a sua volta postula un’analisi della struttura del mercato
rilevante. La prima operazione da compiere per poter valutare se un’impresa detenga una posizione dominante è,
quindi, la definizione del c.d. mercato rilevante.
Ai sensi della normativa antitrust, il mercato rilevante risulta dalla combinazione di due grandezze:
​
​
1 - l’ambito merceologico (mercato del prodotto rilevante), in cui sono compresi tutti i beni e servizi che possano essere ritenuti dal consumatore intercambiabili o sostituibili, in ragione delle loro caratteristiche, dei loro prezzi o dell’uso al quale sono destinati;
2 - l’ambito territoriale (mercato geografico rilevante), intendendo per tale l’area dove le imprese forniscono o sono
potenzialmente in grado di fornire i predetti beni e i servizi e dove le condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee nonché, al contempo, considerevolmente diverse da quelle presenti nelle aree
geografiche contigue.
​
​
Compiuta la preliminare operazione di definizione del mercato rilevante, per accertare se un’impresa detenga su di
esso una posizione dominante è necessario considerare diversi elementi, individuati dalla giurisprudenza. In
particolare, occorre verificare se:
-
l’impresa venda gran parte dei prodotti o servizi di quel determinato mercato, vale a dire detiene una quota
di mercato c.d. significativa. Al riguardo, è utile considerare che una quota di mercato inferiore al 40% è
solitamente indicativa dell’assenza di una posizione dominante; una quota pari al 50%, invece, viene
considerata un serio indizio della sussistenza di detta posizione;
​
-
a causa delle caratteristiche economiche di quel mercato oppure in virtù di eventuali vincoli istituzionali, le
possibilità di reazione degli altri concorrenti siano limitate, al punto che l’impresa può comportarsi in modo
significativamente indipendente dai suoi concorrenti e clienti (es. un’impresa può essere considerata in
posizione dominante quando ha la possibilità di fissare prezzi superiori a quelli dei propri concorrenti per
beni o servizi comparabili, senza per questo incorrere nel rischio di perdere rapidamente una quota di
mercato tale da vanificare la massimizzazione dei ricavi cui la politica di prezzo adottata è funzionale);
​
-
per le imprese concorrenti sussistano barriere, di natura regolamentare, tecnica o economica, tali da
impedire o ritardarne l’ingresso o lo sviluppo nel mercato rilevante.
A differenza del divieto di intese restrittive della concorrenza, le norme che vietano l’abuso di posizione dominante
si riferiscono a condotte di mercato adottate unilateralmente da un’impresa in posizione dominante.
Va comunque precisato che una posizione dominante su un determinato mercato può essere detenuta anche da più
imprese congiuntamente. Sia l’articolo 102 del TFUE che l’articolo 3 della legge n. 287/90, infatti, fanno riferimento all’abuso, non solo da parte di una, ma anche da parte di più imprese. In questa ipotesi, di c.d. dominanza collettiva, l’abuso può realizzarsi quando due o più imprese, pur tra loro indipendenti, risultino collegate da rapporti economici (non necessariamente sulla base di accordi o altri vincoli giuridici), tali da scegliere una condotta di mercato comune e, pertanto, da essere percepite dai concorrenti e dai clienti come un’unica impresa in posizione dominante.
In linea generale, le fattispecie di abuso di posizione dominante possono essere distinte in due tipi:
​
1 - abusi c.d. di sfruttamento, che solitamente si traducono in condotte poste in essere da un’impresa dominante a danno delle proprie controparti commerciali (es. nel caso di richieste di prezzi elevati per una materia prima indispensabile al cliente per offrire i suoi servizi nel mercato sul quale opera);
2 - abusi c.d. escludenti, che consistono in condotte illecite poste in essere per estromettere i propri concorrenti
dal mercato di riferimento. In questo caso, la difficoltà di applicazione della disciplina consiste nel distinguere tra i comportamenti con cui l’impresa dominante compete anche in maniera aggressiva ma sempre nell’ambito di una
concorrenza nel merito, dai comportamenti che invece non fanno parte del normale processo concorrenziale.
​
Esempi di fattispecie abusive ricorrenti sono:
-
le pratiche discriminanti a danno di clienti o imprese estranee al gruppo industriale a cui appartiene
l’impresa dominante. Quest’ultima, infatti, non può applicare ingiustificate discriminazioni nei rapporti
commerciali con i terzi e/o clienti, attraverso una differenziazione nel prezzo o nelle altre condizioni
contrattuali che non corrisponda a una reale differenza dei costi sostenuti;
-
il rifiuto a contrarre opposto da un’impresa in posizione dominante, allorché il diniego determini
un’alterazione delle corrette dinamiche di mercato, in termini di ostacolo o di impedimenti all’accesso. Il
caso tipico è il rifiuto ingiustificato opposto dal possessore/gestore di un’infrastruttura essenziale - c.d.
essential facility - o dall’impresa produttrice di un input necessario alla produzione di un prodotto alla
richiesta di un concorrente di accedere e utilizzare quella infrastruttura o quell’input per erogare determinati
servizi. A ben vedere, equivale al rifiuto a contrarre: il dare seguito alle richieste di accesso con ritardo o
ostacolarle; l’operare selettive e ingiustificate riduzioni di qualità del servizio; il subordinare l’accesso
all’infrastruttura a condizioni inique e/o discriminatorie o, comunque, non giustificate;
-
le pratiche di pricing, tra cui paradigmatico è il caso di adozione di prezzi c.d. predatori, intendendo per tali
prezzi inferiori al costo effettivamente sostenuto dall’impresa per offrire determinati beni e/o servizi. I prezzi
predatori, sebbene apprezzati dai consumatori, possono pregiudicare la permanenza o l’ingresso sul mercato
di nuovi operatori altrettanto efficienti e, pertanto, condurre in futuro a un rialzo dei prezzi stessi più stabile
e duraturo;
-
i rapporti di esclusiva e/o fidelizzanti. Le esclusive possono consistere sia nell’imposizione ai clienti di
fornirsi esclusivamente, o per la maggior parte, dall’impresa dominante; sia nell’imposizione ai fornitori di
servire esclusivamente l’impresa dominante. In questo senso, la concessione di particolari sconti o bonus ai clienti, slegati da effettivi vantaggi di costo per il fornitore, è assimilabile a un obbligo di esclusiva. Il
carattere abusivo è inerente alle limitazioni e/o ai disincentivi che i clienti, beneficiari di tali sconti o bonus,
incontrano nel ricorrere a fonti di approvvigionamento offerte da terzi;
-
le pratiche leganti. Attraverso l’offerta congiunta di più prodotti, l’impresa può far leva sulla posizione
dominante detenuta sul mercato di uno di tali prodotti per escludere i concorrenti dal mercato del prodotto
abbinato. In questa categoria di abusi rientrano le pratiche di: tying o vendita abbinata, con cui l’impresa
condiziona l’acquisto del prodotto principale all’acquisto del prodotto abbinato, per ragioni contrattuali o
tecniche (il prodotto principale è disegnato per operare solo con il prodotto abbinato dell’impresa); bundling
puro o vendita aggregata, in cui i prodotti sono venduti solo insieme; bundling misto, in cui i prodotti sono
venduti anche separatamente ma il pacchetto è venduto a un prezzo inferiore al prezzo complessivo dei due
prodotti acquistati separatamente (trattasi, quindi, di uno sconto condizionato all’acquisto di più prodotti).
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IL DIVIETO DI ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
La legge n. 192/19989 sulla subfornitura, all’articolo 9, introduce il divieto di abuso di dipendenza economica.
L’articolo 9 definisce la dipendenza economica come la situazione in cui un’impresa “sia in grado di determinare, nei
rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e obblighi”; situazione che viene valutata
“tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che ha subito l’abuso di reperire sul mercato alternative
soddisfacenti”.
L’articolo 9 chiarisce che l’abuso di tale situazione può consistere nell’imporre all’impresa con cui si intrattiene il
rapporto contrattuale di sub-fornitura condizioni ingiustificatamente gravose e/o eccessivamente squilibrate a
proprio vantaggio; nell’interrompere arbitrariamente le relazioni commerciali in corso oppure nel rifiutarsi di
vendere o comprare. A ben vedere, si tratta di un elenco esemplificativo, talché anche altre condotte possono
integrare il divieto di abuso di dipendenza economica.
Sul piano sanzionatorio, l’abuso di dipendenza economica viene punito con la nullità dei patti attraverso i quali esso
è stato esercitato e con l’eventuale risarcimento dei danni subiti.
Oltre alle descritte conseguenze sul piano civilistico, può aversi anche l’irrogazione di sanzioni amministrative di
tipo pecuniario da parte dell’AGCM, competente a intervenire laddove il predetto abuso determini altresì
un’alterazione dei meccanismi concorrenziali del mercato oppure integri un abuso di posizione dominante. Ciò
accade quando, pur in assenza di una posizione dominante sul mercato, la condotta imprenditoriale abbia un impatto che trascende il rapporto contrattuale tra le parti, così da richiedere un intervento dell’Autorità volto a ristabilire l’ordine concorrenziale turbato.
A oggi non ci sono esempi di applicazione dell’articolo 9 nella prassi decisionale dell’AGCM, ma si è sviluppata
un’ampia giurisprudenza civile che ha tentato di delineare l’ambito applicativo del divieto.
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PROCEDURA AT3 per verificare lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante
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CAPITOLO 2.8 - LE IMPRESE PREPOSTE ALLO SVOLGIMENTO DI SERVIZI DI INTERESSE ECONOMICO GENERALE O CHE OPERANO IN REGIME DI MONOPOLIO
La normativa antitrust può applicarsi anche a misure statali. In particolare, l’articolo 106 del TFUE e l’articolo 8 della
legge n. 287/90 si indirizzano sia agli Stati sia alle imprese, collegate a diverso grado e vario titolo con i pubblici
poteri. Tuttavia, l’articolo 106 precisa che le norme in materia di concorrenza trovano applicazione per le imprese
preposte allo svolgimento di servizi di interesse economico generale (c.d. SIEG) o che operano in regime di monopolio “nei limiti in cui l’applicabilità […] non osti all’adempimento, in linea di diritto o di fatto, della specifica missione loro affidata”; l’articolo 8, comma 2, della legge n. 287/1990, invece, stabilisce che dette norme non trovano
applicazione nei confronti delle citate imprese “per tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli
specifici compiti loro affidati”.
Dal momento che le imprese incaricate del SIEG, in virtù della particolare attività da loro svolta, possono avere ladisponibilità esclusiva di determinati beni, servizi o informazioni, esse non possono sfruttare la situazione di
privilegio di cui godono a svantaggio di soggetti che svolgono attività collegate con quelle loro riservate.
Pertanto, a garanzia dello svolgimento di un confronto concorrenziale “ad armi pari”, qualora tali imprese decidano
di agire in mercati diversi da quelli in cui svolgono il SIEG, è necessario che:
1 - operino in regime di separazione societaria (art.8, co. 2-bis, l. n. 287/1990);
2 - comunichino all’AGCM la costituzione di società o l’acquisizione di posizioni di controllo in società operanti nei mercati diversi (art. 8, co. 2-ter, l. n. 287/1990);
3 - rendano disponibili a società da esse partecipate o controllate nei mercati collegati, beni o servizi, anche informativi, di cui abbiano la disponibilità esclusiva in dipendenza delle attività svolte nel SIEG, garantendo
lo stesso trattamento alle stesse condizioni anche alle altre imprese direttamente concorrenti in detti mercati
(art. 8, co. 2-quater, l. n. 287/1990).
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CAPITOLO 2.9 - LE OPERAZIONI DI CONCENTRAZIONI TRA IMPRESE
Un’impresa può svilupparsi non solo accrescendo il “giro d’affari” dei propri prodotti o servizi, ma anche
“concentrandosi” con altre imprese, ossia concludendo operazioni che generano una modifica stabile nel controllo di una o più delle imprese interessate o di parti delle stesse. Pertanto, ciò che rileva ai fini delle determinazioni del carattere concentrativo di un’operazione tra due o più imprese, è la modifica del controllo.
L’articolo 7 della legge n. 287/90 contiene un’ampia nozione di controllo, volta a ricondurre nell’ambito di
applicazione della disciplina di riferimento qualsiasi operazione che possa comportare una modifica duratura delle
strutture del mercato ovvero qualsiasi operazione attraverso cui un’impresa acquisisca il potere di influenzare in
modo stabile il comportamento di un’altra impresa o di una sua parte.
Tale modifica può essere realizzata attraverso le tipiche modalità civilistiche di acquisizione del controllo, come ad
esempio l’acquisto della maggioranza delle quote azionarie di un’impresa che consente di acquisirne il controllo
esclusivo, oppure attraverso qualsiasi altro strumento idoneo ad assicurare a un’impresa l’esercizio del controllo - sia di diritto sia di fatto - su un’altra impresa.
Ai sensi della rilevante normativa europea e nazionale (art. 3, Regolamento CE n. 139/200410 e art. 5, l. n. 287/90), i
tipi di operazione riconducibili alla categoria delle concentrazioni sono così classificati:
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A) fusione di due o più imprese o parti di imprese precedentemente indipendenti;
B) acquisizione dell’insieme o di parti di una o più imprese;
C) costituzione di un’impresa comune (o joint venture).
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Con riguardo alle imprese comuni, è bene distinguere tra imprese comuni di natura concentrativa – soggette alla
disciplina in commento – e imprese comuni di natura cooperativa – soggette alla disciplina sulle intese.
Si ricade nella prima ipotesi, e, pertanto, la costituzione dell’impresa comune (c.d. NewCo) può essere qualificata
come una concentrazione, qualora essa possegga requisiti specifici che le attribuiscano il carattere della c.d. fullfunctionality, consentendole di poter disporre di:
-
risorse finanziarie, personale, attività materiali e immateriali sufficienti per poter esercitare durevolmente
un’attività economica
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titolarità di funzioni svolte in autonomia rispetto alle società fondatrici (c.d. impresi madri) e con carattere
di stabilità e durevolezza. L’impresa comune, in altri termini, non dovrà operare nell’esclusivo o,
quantomeno, prevalente interesse delle imprese madri;
​
-
capacità di dirigere l’impresa con un management proprio e indipendente. I dirigenti dell’impresa comune
dovranno poter assumere direttamente le principali decisioni strategiche relative alla gestione della stessa,
in assenza di meccanismi di ingerenza delle imprese fondatrici negli ordinari processi decisionali della
NewCo.
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Ricadono nella seconda ipotesi, invece, le joint venture che, difettando della natura full-function - nel senso che non
possono essere considerate a tutti gli effetti entità economiche autonome - presentano rischi di coordinamento. In
tale ipotesi, l’operazione di costituzione dell’impresa comune potrà essere oggetto di valutazione da parte
dell’Autorità, alla luce degli articoli 101 del TFUE e 2 della legge n. 287/1990.
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A ben vedere, stando alla definizione di concentrazione che precede, non importa se il controllo sia stato acquisito
attraverso uno o più atti giuridici successivi, a condizione che il risultato finale costituisca una concentrazione unica.
Secondo l’orientamento generale espresso dal diritto della concorrenza, infatti, rispetto a una fattispecie articolata in più atti giuridici successivi e/o che si presentano interconnessi, occorre avere riguardo al risultato finale, ossia allo scopo economico perseguito dalle parti. Pertanto, ai fini di una corretta applicazione della disciplina antitrust, deve essere individuato tale scopo: per determinare cioè il carattere unitario di più operazioni, si tratta, in ciascuna
fattispecie, di valutare se le stesse siano interdipendenti, per cui l’una non sarebbe stata realizzata senza l’altra.
Con riferimento ai parametri rilevanti per un simile accertamento, la Commissione ha osservato che l’esistenza di un
vincolo condizionale è di norma dimostrata se le operazioni sono connesse sotto il profilo giuridico, ossia se gli accordi sono collegati tra loro da un legame di condizionalità reciproca. Anche la condizionalità di fatto può essere sufficiente per trattare le varie operazioni come una concentrazione unica. A questo fine, occorre valutare se ciascuna di tali operazioni dipenda necessariamente o meno dalla conclusione delle altre, in base a indicatori economici, industriali o anche solo comportamentali.
Se poi una serie di operazioni interconnesse non presenti natura concentrativa, cionondimeno essa può assumere
rilievo per l’applicabilità della disciplina sulle intese. Infatti, fattispecie formalmente distinte possono formare oggetto di trattazione congiunta, laddove, ad esempio, risultino complessivamente funzionali a un disegno unitario di riorganizzazione dell’offerta sul mercato ad opera delle imprese interessate. Rispetto a tale eventuale disegno unitario, le diverse operazioni che lo compongono si configurerebbero quali modalità di esecuzione di un più ampio accordo di cooperazione; se poste in essere tra concorrenti, esse potrebbero essere trattate alla stregua di un’intesa orizzontale.
Nella prospettiva antitrust, l’aspetto maggiormente preoccupante legato alle operazioni concentrative è il rischio che un’impresa, concentrandosi con altre, riduca in maniera sostanziale la concorrenza sul mercato di riferimento,
accrescendo la propria capacità di aumentare i prezzi e praticare condizioni svantaggiose per gli utenti. Da qui
l’esigenza di un controllo preventivo delle operazioni eccedenti determinate soglie di fatturato.
Tale controllo preventivo è finalizzato a prevenire la creazione di una struttura di mercato che possa risultare
pregiudizievole per la concorrenza e a cui non si potrebbe porre rimedio con un intervento ex post, attuato mediante
le norme di concorrenza relative al divieto di intese restrittive o di abuso di posizione dominante. Potrebbe
verificarsi, infatti, che, in virtù delle caratteristiche strutturali assunte da un determinato mercato per effetto di una
concentrazione, gli operatori attivi su quel mercato risultino meno incentivati a farsi concorrenza, senza però
assumere condotte passibili di sanzione ai sensi delle norme antitrust.
La competenza a effettuare il controllo preventivo su un’operazione di concentrazione spetta all’AGCM oppure alla
Commissione, a seconda dei fatturati delle imprese interessate dall’operazione in questione.
​
Più precisamente, ai sensi dell’articolo 16 della legge n. 287/90, sono soggette al controllo preventivo da parte
dell’AGCM le operazioni di concentrazione in cui i fatturati realizzati nel territorio italiano dall’impresa acquisita e
dalle imprese interessate superino determinate soglie, aggiornate annualmente tenuto conto dell’inflazione. Con
riferimento alle imprese comuni, l’Autorità precisa che “si dovrà tenere conto del fatturato degli eventuali
conferimenti in esse effettuati dalle imprese che ne acquisiscono il controllo congiunto, con conseguente scomputo degli stessi dal fatturato di queste ultime”.
Interverrà lo scrutinio esclusivo della Commissione, invece, qualora il fatturato delle imprese interessate integri le
c.d. soglie comunitarie, cioè quando:
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A) il fatturato totale realizzato a livello mondiale dall’insieme delle imprese interessate è superiore a 5 miliardi di euro;
B) il fatturato totale realizzato singolarmente nella UE da almeno due delle imprese interessate è superiore a
250 milioni di euro, a meno che ciascuna di tali imprese realizzi più di due terzi del proprio fatturato totale
nell’ UE all’interno di un unico e medesimo Paese dell’UE (art. 1, Regolamento CE n. 139/2004).
​
Se le soglie dimensionali previste dalla normativa nazionale o comunitaria vengono superate, l’operazione di
concentrazione dovrà essere comunicata alla autorità di concorrenza competente, utilizzando uno specifico
formulario. Le informazioni trasmesse devono essere complete e veritiere. Qualora le parti notifichino una
concentrazione fornendo una comunicazione gravemente inesatta, incompleta o non veritiera, il termine entro cui
avviare un’istruttoria è interrotto e inizia nuovamente a decorrere solo dal ricevimento delle informazioni che
integrano la comunicazione originaria.
Le concentrazioni devono essere notificate prima del perfezionamento giuridico dell’acquisizione, vale a dire prima
che l’operazione venga concretamente implementata, per consentire all’Autorità (o alla Commissione) di valutare, in via preventiva, se l’operazione medesima sia idonea a costituire o rafforzare una posizione di dominanza e ad alterare, così, le dinamiche concorrenziali del mercato.
​
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A seguito della notifica si apre una fase pre - istruttoria (c.d. Fase I) della durata di 30 giorni, (25 giorni se la procedura è di competenza della Commissione), decorsi i quali l’Autorità (o la Commissione) deve decidere se autorizzare l’operazione oppure approfondire la propria valutazione, avviando la fase istruttoria (c.d. Fase II).
Quest’ultima dura 45 giorni (90 giorni se la procedura è di competenza della Commissione) trascorsi i quali l’Autorità potrà decidere alternativamente se:
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A) autorizzare l’operazione;
B) autorizzarla, ma subordinatamente all’adozione di misure correttive;
C) vietarla.
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Quanto alle misure correttive applicabili per superare le criticità concorrenziali sollevate dall’Autorità e consentire
l’autorizzazione dell’operazione, esse possono essere di carattere sia strutturale - i.e. cessioni o dismissioni di imprese, parti di impresa o partecipazioni societarie rilevanti - sia comportamentale - i.e. impegni di facere e/o non facere nella futura politica commerciale.
Considerato che l’adozione di rimedi correttivi, imposti dall’Autorità o proposti dalle parti, per rimuovere gli effetti
anti-competitivi di una concentrazione è uno strumento molto utilizzato, i casi di decisione di divieto sono poco
frequenti.
La violazione del divieto di realizzazione di un’operazione concentrativa e la mancata ottemperanza alle prescrizioni
necessarie a ripristinare le condizioni di concorrenza imposte dall’Autorità sono passibili di sanzioni amministrative
pecuniarie non inferiori all’1% e non superiori al 10% del fatturato delle attività dell’impresa oggetto della
concentrazione (art. 19, co. 1, l. n. 287/90).
Inoltre, l’Autorità può infliggere ammende fino all’1% del fatturato dell’anno precedente a quello in cui è effettuata
la contestazione alle imprese che non ottemperino all’obbligo di notifica preventiva (art. 19, co. 2, l. n. 287/90).
Per le concentrazioni di rilevo comunitario, nelle stesse ipotesi, la Commissione può infliggere una sanzione
amministrativa pecuniaria fino al 10% del fatturato delle imprese interessate (art. 14, par. 2, Regolamento CE n.
139/2004).
Nel caso di un’operazione di concentrazione di rilevanza nazionale, in seguito alla notifica, è prevista altresì la
pubblicazione di un avviso relativo alla prevista operazione sulla pagina web dell’AGCM, al fine di permettere a terzi
di presentare osservazioni in merito.
​
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PROCEDURA AT4 per verificare la compatibilità di un’operazione di concentrazione con la normativa di riferimento
CAPITOLO 2.10 - I POTERI DELL’AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO E DELLA COMMISSIONE EUROPEA
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I POTERI DI INDAGINE
La Commissione e l’AGCM dispongono di ampi poteri di indagine in ordine ai comportamenti delle imprese sospette
di infrangere la normativa posta a tutela della concorrenza.
Innanzitutto, alle imprese può essere richiesto di fornire informazioni su determinati fatti o circostanze, così come
di esibire documenti.
Le richieste della Commissione e/o dell’AGCM possono essere effettuate sia informalmente - per le vie brevi, i.e. al
telefono o mediante lettera informale - sia formalmente mediante lettera. Occorre fare attenzione in quanto, a fronte di mancata risposta ovvero di risposta tardiva e/o incompleta e/o non veritiera a una richiesta formale, sono previste sanzioni amministrative pecuniarie.
In particolare, ai sensi della normativa nazionale, il rifiuto ingiustificato da parte dei soggetti richiesti di fornire
informazioni/documenti è punito con sanzioni amministrative pecuniarie fino a circa 26.000 euro; la produzione di
informazioni/documenti non veritieri fino a circa 52.000 euro (art. 14, co. 5, l. n. 287/90). Ai sensi della normativa
comunitaria, invece, i medesimi comportamenti possono essere puniti con un’ammenda pari all’1% del fatturato
realizzato nell’esercizio sociale precedente la commissione dell’infrazione (art. 23, Regolamento CE n. 1/2003).
Nello specifico, non costituisce giustificato motivo di rifiuto o di omissione l’opposizione di:
A) vincoli di riservatezza o di competenza imposti da regolamenti aziendali o prescrizioni interne;
B) esigenze di autotutela dal rischio di sanzioni fiscali o amministrative;
C) esigenze di tutela del segreto aziendale o industriale, salvi i casi in cui la Commissione o l’AGCM riconoscano tali
esigenze.
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Oltre al potere di richiedere informazioni, sia la Commissione sia l’AGCM hanno il potere di effettuare accertamenti
ispettivi presso le sedi delle imprese, anche avvalendosi dell’assistenza della Guardia di Finanza. Di regola si tratta di
accertamenti effettuati “a sorpresa”, volti a prendere visione diretta e ritirare copia dei documenti aziendali rilevanti
per l’indagine in corso.
In tale ipotesi, è buona regola esaminare sia il provvedimento con cui l’autorità di concorrenza ha autorizzato i
funzionari a procedere all’ispezione, dove ne sono indicati lo scopo e l’oggetto; sia il provvedimento amministrativo
con cui la stessa ha deliberato di avviare il procedimento istruttorio e dal quale, quindi, risultano i presunti comportamenti illeciti contestati. Quest’analisi, condotta anche con l’ausilio dei funzionari, è funzionale a
comprendere quali documenti siano rilevanti ai fini dell’ispezione e quali documenti non lo siano,
Possono formare oggetto di controllo i libri e i documenti amministrativi e contabili ma anche documenti non
ufficiali, interni e informali, a prescindere dalla posizione aziendale ricoperta dall’autore degli stessi (es.
corrispondenza, appunti, manoscritti, agende). Inoltre, è sempre più frequente il controllo dei documenti conservati
in supporti ottici e/o informatici e, in particolare, dei sistemi di posta elettronica.
Le ispezioni possono essere svolte in tutti i locali e i terreni dell’impresa, ivi inclusi mezzi di trasporto utilizzati per
svolgere le attività aziendali. In proposito, è utile considerare che, mentre l’AGCM può effettuare ispezioni solo
presso la sede della impresa, la Commissione, previa autorizzazione del giudice, può effettuare ispezioni anche presso il luogo di residenza o il domicilio privato di amministratori, direttori o dipendenti, qualora vi siano ragionevoli
sospetti che libri o documenti aziendali siano ivi conservati. Chiaramente, in questa ipotesi, gli ispettori non possono avere accesso a oggetti né estrarre copia di documenti strettamente attinenti alla sfera personale dell’individuo.
Nel corso dell’ispezione, i funzionari incaricati possono richiedere a titolari e dipendenti dell’impresa che vengano
loro fornite informazioni e spiegazioni, non solo in merito alla documentazione trovata, ma più in generale in merito
all’oggetto dell’indagine svolta. In caso di risposte inesatte o non veritiere o di rifiuto di esibizione dei documenti,
anche in questa ipotesi, verranno comminate sanzioni amministrative pecuniarie.
Alla luce di quanto precede, qualora la Commissione o l’AGCM conducano accertamenti ispettivi, è importante che
tutto il personale offra la più ampia disponibilità e leale collaborazione.
Allo stesso tempo, è importante che tutti i dipendenti prestino attenzione, consapevoli della delicatezza delle
dichiarazioni rese che vengono messe a verbale. Pertanto, occorre rispondere alle domande dei funzionari in maniera chiara ed esaustiva o, laddove ciò non sia possibile, riservarsi di fornire una risposta per iscritto in un secondo momento. Per la stessa ragione, è opportuno verificare tali dichiarazioni e richiedere ai funzionari ogni chiarimento si ritenga necessario.
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I POTERI DECISORI
Al termine del procedimento istruttorio, l’autorità di concorrenza competente adotta nei confronti delle parti una
decisione motivata che può essere di tre tipi:
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-
compatibilità;
-
accertamento e inibitoria dell’infrazione;
-
irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie.
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Nel primo caso, l’Autorità considera la fattispecie esaminata compatibile con le regole della concorrenza. Tale caso si distingue dalla chiusura del procedimento per insufficienza di prove dove, pur non essendo stata accertata
un’infrazione, non può maturarsi un legittimo affidamento sulla correttezza della condotta esaminata dal punto di
vista antitrust, dal momento che essa non è stata dichiarata.
Invece, nella seconda ipotesi, in cui con la chiusura dell’istruttoria viene accertata un’infrazione antitrust, l’Autorità
diffida le imprese a porre fine alla violazione, assegnando loro un termine congruo entro il quale adempiere, pena
l’adozione di un provvedimento sanzionatorio.
Nell’ipotesi di condotte ritenute gravemente lesive della concorrenza, l’Autorità, oltre a diffidare le imprese dal
prosieguo dell’infrazione, dispone del potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie, fissando i termini entro
cui le imprese devono procedere al relativo pagamento. Per ciascuna impresa o associazione di imprese partecipante all’infrazione, l’ammenda può arrivare fino al 10% del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente (art. 23, Regolamento CE n. 1/2003 e art. 15, l. n. 287/90).
Come anticipato, la Commissione prima e l’AGCM poi hanno emanato specifiche Linee guida volte a illustrare i
criteri di quantificazione delle sanzioni irrogate in materia di intese e abuso di posizione dominante, dove figurano -
tra gli altri - la durata e la gravità dell’infrazione, l’opera svolta dalle imprese per eliminare o attenuare le conseguenze dell’infrazione e le condizioni economiche dei destinatari dell’ammenda.
Il provvedimento sanzionatorio adottato dall’Autorità può essere impugnato da parte delle imprese destinatarie
dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) per il Lazio (artt. 133 e 134, D.Lgs. n. 104/201014); il
provvedimento sanzionatorio della Commissione può essere impugnato dinanzi al Tribunale dell’UE.
Tuttavia, è bene tenere presente che sia la Commissione sia l’AGCM hanno il potere di adottare, anche d’ufficio,
specifiche misure cautelari nei casi di urgenza dovuta al rischio di un danno grave e irreparabile per la concorrenza
e, ove constatino, a seguito di un sommario esame, la sussistenza di un’infrazione della normativa (art. 8, par. 2,
Regolamento CE n. 1/2003 e art. 14-bis, l. n. 287/90).
Il mancato rispetto di decisione che dispone misure cautelari espone a sanzioni amministrative pecuniarie, che non
devono superare: il 10 % del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente, nel caso di decisione
della Commissione (art. 23, par. 2, Regolamento CE n. 1/2003); il 3 % del fatturato, nel caso di decisione dell’AGCM
(art. 14-bis, co. 3, l. n. 287/90).
​
​
LE DECISIONI CON IMPEGNI
L’istituto della decisione con accettazione di impegni, concepito come una deroga all’ordinaria procedura di
accertamento di un’infrazione, era originariamente previsto dalla sola disciplina comunitaria e, nel 2006, è stato
introdotto anche nell’impianto normativo nazionale.
Ai sensi dell’articolo 14-ter della legge n. 287/90 - analogo all’articolo 9 del Regolamento CE n. 1/2003 - “Entro tre
mesi dalla notifica dell’apertura di un’istruttoria per l’accertamento della violazione degli articoli 2 o 3 della presente
legge o degli articoli 81 o 82 del Trattato CE, le imprese possono presentare impegni tali da far venire meno i profili
anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria. L’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può, nei limiti previsti
dall’ordinamento comunitario, renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare
l’infrazione”.
L’AGCM ha poi adottato una specifica procedura per la presentazione e valutazione degli impegni, dettagliatamente
illustrata in un’apposita comunicazione.
Va sottolineato che, in tale comunicazione, l’AGCM ha precisato che una decisione con impegni non può essere
assunta per le violazioni c.d. hard-core, ossia per quei comportamenti restrittivi o lesivi della concorrenza così gravi
da far ritenere necessaria l’irrogazione di una sanzione.
La procedura di cui all’articolo 14-ter consente alle imprese interessate di proporre l’adozione in via unilaterale di
correttivi idonei a far venire meno i profili anticoncorrenziali delle condotte oggetto dell’istruttoria.
Gli impegni vanno presentati entro tre mesi dalla notifica dell’apertura dell’istruttoria. Tuttavia, la predetta
comunicazione consente di presentare una versione non definitiva degli stessi con congruo anticipo rispetto al
termine di tre mesi, al fine di avviare il confronto con l’Autorità sul loro contenuto. Inoltre, viene precisato che
l’Autorità “si riserva comunque la possibilità di consentire in ipotesi eccezionali, sulla base di una motivata e
tempestiva istanza di parte, la presentazione di impegni oltre il termine sopraindicato”.
Qualora l’Autorità ritenga gli impegni non manifestamente infondati, procede alla loro pubblicazione, al fine di
consentire a terzi interessati di presentare le proprie osservazioni entro i trenta giorni successivi (c.d. market test).
Le imprese che hanno presentato gli impegni possono, a loro volta, replicare alle osservazioni pervenute e/o
introdurre modifiche accessorie alle misure originariamente depositate.
Valutata l’idoneità degli impegni presentati a rimuovere le criticità concorrenziali sollevate in sede di avvio del
procedimento istruttorio, l’Autorità può, nei limiti previsti dall’ordinamento comunitario, renderli obbligatori per le
imprese e, quindi, chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione.
In caso di mancato rispetto degli impegni resi obbligatori, l’AGCM può riaprire il procedimento e irrogare all’impresa
inadempiente una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 % del fatturato.
​
Alla base dell’istituto degli impegni, sussistono due esigenze:
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A) l’interesse pubblico in capo all’Autorità a risparmiare tempi e risorse necessari per lo svolgimento dell’attività
istruttoria;
B) l’interesse delle imprese a non vedere accertata la propria responsabilità, evitando così le conseguenze negative connesse a una decisione di accertamento dell’illecito.
​
Da ultimo, appare opportuno evidenziare che, nella prassi dell’AGCM, le decisioni con impegni hanno riguardato
prevalentemente procedimenti avviati per accertare fattispecie riconducibili a intese verticali o abusi di posizione
dominante.
​
I PROGRAMMI DI CLEMENZA
Oltre alle decisioni con impegni, nel 2006, è stato recepito un altro istituto di derivazione comunitaria: i c.d.
programmi di clemenza (leniency program). Attraverso tale istituto, le imprese che comunicano la sussistenza di
un’infrazione o collaborano significativamente a fornire elementi di prova con riferimento a un’infrazione di cui
l’Autorità è già a conoscenza possono beneficiare dell’immunità o della riduzione della sanzione pecuniaria.
Più precisamente, l’articolo 15, comma 2-bis, della legge n. 287/90 prevede che “L’Autorità, in conformità
all’ordinamento comunitario, definisce con proprio provvedimento generale i casi in cui, in virtù della qualificata
collaborazione prestata dalle imprese nell’accertamento di infrazioni alle regole di concorrenza, la sanzione
amministrativa pecuniaria può essere non applicata ovvero ridotta nelle fattispecie previste dal diritto comunitario”.
Anche in questo caso, con un’apposita comunicazione18, l’AGCM ha elaborato dettagliate modalità di presentazione
da parte dell’impresa della domanda di trattamento favorevole e fissato le condizioni per l’accesso a tale beneficio.
Il programma di clemenza si basa sulla constatazione delle difficoltà legate all’individuazione e alla prova dei cartelli,
in mancanza di una collaborazione effettiva da parte delle imprese che vi partecipano. L’AGCM è stata perciò
investita del potere di valorizzare tale collaborazione, modulando il regime sanzionatorio in base alla tempestività e
qualità delle informazioni rese dalle imprese medesime.
Si tratta, dunque, di un istituto che ha una duplice valenza. Esso, infatti, rappresenta un importante strumento di
politica investigativa nonché svolge una funzione deterrente per le imprese che intendono partecipare a un cartello,
esponendole all’incertezza che gli altri membri potrebbero svelare la concertazione in cambio dell’immunità o
comunque di una sensibile riduzione della sanzione.
Ne deriva che i programmi di compliance e quelli di leniency sono strettamente collegati.
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PROGRAMMI COMPLIANCE LENIENCY
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Come visto, infatti, un’efficace strategia di compliance si articola in un processo finalizzato a prevenire condotte anticompetitive o a riscontrarle quando si verificano. In questo secondo caso, individuata l’infrazione, l’impresa che ne è parte deve porvi fine e può anche denunciarne l’esistenza alle autorità di concorrenza, fornendo loro gli elementi probatori raccolti grazie al processo medesimo. Quanto più la denuncia sarà tempestiva e dettagliata, tanto più l’impresa denunciante potrà puntare all’immunità.
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CAPITOLO 2.11 - LINEE GUIDA SULLA COMPLIANCE ANTITRUST
In data 25 settembre 2018, l’Autorità ha adottato le Linee Guida sulla COMPLIANCE antitrust, volte a
fornire alle imprese un orientamento circa:
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la definizione del contenuto del programma di compliance;
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la richiesta di valutazione del programma ai fini del riconoscimento dell’eventuale attenuante;
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i criteri che l’Autorità intende adottare nella valutazione ai fini del riconoscimento dell’attenuante.
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In particolare, le Linee Guida definiscono, in linea con le BEST PRACTICES internazionali, le
componenti tipiche di un programma di COMPLIANCE antitrust, tra cui
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il riconoscimento del valore della concorrenza come parte integrante della cultura aziendale,
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l’identificazione e valutazione del rischio antitrust specifico dell’impresa,
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la definizione di processi gestionali idonei a ridurre tale rischio,
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lo svolgimento di attività di formazione e di AUDITING.
L’impresa coinvolta in un procedimento istruttorio che intenda beneficiare dell’attenuante dovrà
presentare agli Uffici dell’Autorità apposita richiesta, accompagnata da una relazione illustrativa, che
spieghi le ragioni per cui il programma possa ritenersi adeguato e le iniziative concrete poste in essere per
l’effettiva ed efficace applicazione/implementazione del programma.
Quanto ai possibili benefici sanzionatori, per i programmi di COMPLIANCE adottati prima dell’avvio
dell’istruttoria è prevista la possibilità di una riduzione fino al:
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15%, nel caso di programmi adeguati che abbiano funzionato efficacemente permettendo la
tempestiva scoperta e interruzione dell’illecito prima dell’avvio. Nel caso sia applicabile l’istituto della
clemenza, tale attenuante può essere riconosciuta solo qualora sia presentata istanza di leniency;
10%, in caso di programmi non manifestamente inadeguati, a condizione che l’impresa integri
adeguatamente il programma e inizi a darvi attuazione dopo l’avvio del procedimento (ed entro sei mesi
dall’apertura dell’istruttoria);
5%, in caso di programmi manifestamente inadeguati, ove l’impresa presenti modifiche sostanziali al
programma dopo l’avvio del procedimento (ed entro sei mesi dall’apertura dell’istruttoria).
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Per i programmi adottati ex novo dopo l’avvio dell’istruttoria, è prevista la possibilità di beneficiare di una riduzione
fino al 5% della sanzione.
Un’attenuante non superiore al 5% potrà essere concessa a un’impresa recidiva, già dotata di un programma di
compliance solo a fronte della presentazione di modifiche dello stesso dopo l’avvio del procedimento istruttorio.
Nessuna attenuante potrà essere concessa a un’impresa recidiva che abbia già beneficiato di una riduzione della
sanzione antitrust ad esito di una precedente istruttoria per aver adottato un programma di compliance. Ciò anche
nel caso di modifiche del programma apportate dopo l’avvio del procedimento.
Nessuna presunzione di adeguatezza ed efficacia potrà essere invocata dall’impresa nel caso in cui il programma di
compliance sia oggetto di impegni resi obbligatori ai sensi dell’art. 14-ter della legge n. 287/90.
Qualora la medesima impresa sia coinvolta in un successivo procedimento, ai fini del riconoscimento dell’attenuante, è sempre suo onere fornire tutti gli elementi necessari per dimostrare la concreta attuazione di un programma di compliance adeguato.
Con riferimento ai gruppi di società, nell’ambito di procedimenti antitrust che coinvolgono anche la controllante,
affinché il programma di compliance di quest’ultima possa ritenersi adeguato, esso deve essere adottato e
implementato a livello di gruppo. Ai fini della valutazione dell’attenuante, pertanto, si considererà il programma
adottato e attuato sia dalla società controllante, sia da parte delle controllate Parti del procedimento.
L’adozione di un programma di compliance da parte della capogruppo non sarà considerato un elemento sufficiente
per escludere la responsabilità della capogruppo per la condotta anticoncorrenziale della sua controllata.
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Il presente documento è soggetto a modifiche. Ultima revisione 27 Luglio 2023